In trent’anni la flotta italiana della pesca ha perso il 35% delle imbarcazioni, con 18mila posti di lavoro in meno. Colpa del carburante che in Italia costa il triplo rispetto ad altri Paesi del Mediterraneo ma colpa, anche della forte sofferenza degli stock naturali che, secondo i recenti dati di Fao e Ue sarebbero ormai ai limiti di tenuta che non permettono il riequilibrio del numero di pesci pescati.
Il Piano triennale della pesca e dell’acquacoltura, da parte del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali dovrebbe essere – nelle aspettative delle associazioni di categoria del settore pesca – il punto di partenza per il rilancio, l’ultima spiaggia per la tenuta di un sistema fortemente in crisi.
Secondo Coldiretti Impresapesca i risultati disastrosi degli ultimi anni sono stati il frutto di un approccio sbagliato,
sono state perseguite politiche incentrare sui sistemi di produzione dimenticando il mercato che sempre più è andato in mano all’importazione. Un mercato che, paradossalmente, ha visto un progressivo aumento dei consumi negli ultimi 30 anni, con il solo freno riferito all’anno 2012, nelle quale la nostra produzione è sempre più marginale, ormai sotto il 30 per cento del pesce consumato, senza che l’acquacoltura riesca a sopperire alle carenze della pesca tradizionale, a causa degli irrisolti problemi strutturali.
Coldiretti Impresapesca lamenta anche come il nuovo Piano Triennale non abbia incentivato azioni virtuose e investimenti con una riforma del sistema costruita su comportamenti etici, una riforma che, in tal senso, avrebbe allontanato le pesanti sanzioni inflitte alla pesca italiana per le violazioni comunitarie, un altro capitolo di non poco peso nella crisi del settore.
Via | Coldiretti
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