
Ora è legge, vietata del tutto la pesca del polpo in tutta la nazione - ecoblog.it
Il governo ha vietato la pesca del polpo a tempo indeterminato per proteggere la biodiversità del Mediterraneo. Una decisione che riapre il dibattito sulla pesca.
La Tunisia ha annunciato un divieto totale e permanente sulla pesca del polpo lungo tutto il proprio territorio marittimo. La decisione, senza precedenti nella regione, è stata resa nota dal Ministero dell’Agricoltura e della Pesca, che ha motivato il provvedimento con il rapido declino delle popolazioni di Octopus vulgaris, specie chiave nel Mediterraneo. La misura è entrata in vigore con effetto immediato, sospendendo la stagione in corso oltre un mese prima del termine inizialmente previsto.
Si tratta di un cambio netto rispetto alla gestione tradizionale, finora regolata da periodi di fermo stagionale concentrati nei mesi di riproduzione. Stavolta, invece, il fermo è illimitato. Il governo ha scelto di intervenire con forza, mettendo in secondo piano le conseguenze economiche nel breve periodo per tutelare una specie sempre più esposta al sovrasfruttamento. Nelle isole di Kerkennah e lungo le coste del Sahel tunisino, dove la pesca del polpo è parte dell’identità locale, la decisione ha sollevato reazioni contrastanti tra i pescatori. Molti temono di perdere la propria fonte principale di reddito, altri riconoscono l’urgenza di preservare una risorsa sull’orlo del collasso.
Un predatore essenziale per l’equilibrio marino
Il polpo non è solo una risorsa economica. È anche un regolatore naturale degli ecosistemi, grazie al suo ruolo di predatore. Controlla le popolazioni di crostacei, molluschi e piccoli pesci, contribuendo a mantenere l’equilibrio biologico delle aree costiere. La sua scomparsa comporterebbe effetti a catena difficilmente reversibili: si rischia un’esplosione di specie opportuniste e un impoverimento generale della biodiversità marina.

Ma il provvedimento tunisino tocca anche il cuore delle comunità locali. In molte aree, la pesca del polpo è praticata con metodi tradizionali e poco invasivi, tramandati da generazioni. Bloccare questa attività significa interrompere un rapporto culturale con il mare che dura da secoli. Allo stesso tempo, aumentano i segnali di sovrasfruttamento anche per altre specie, poiché i pescatori, privati del polpo, si orientano verso altri bersagli, aggravando il disequilibrio già in corso.
Il governo ha annunciato che saranno attivati strumenti di sostegno economico, ma i dettagli restano vaghi. Mancano, al momento, indicazioni concrete su possibili alternative sostenibili per chi vive di pesca artigianale. Senza misure di accompagnamento adeguate, la scelta rischia di trasformarsi in una crisi sociale, non solo ecologica.
Gli allevamenti intensivi e il rischio di modelli insostenibili
Mentre la Tunisia opta per la tutela integrale, altri paesi – in particolare Spagna e Grecia – stanno sviluppando impianti di acquacoltura per polpi. L’obiettivo è quello di colmare il vuoto lasciato dalla diminuzione delle catture in mare aperto. Ma questa strada solleva dubbi etici e ambientali sempre più pressanti. Il polpo è uno degli invertebrati più intelligenti conosciuti: cambia colore, usa strumenti, risolve problemi. Rinchiuderlo in vasche anguste, prive di stimoli, genera sofferenza e comportamenti anomali.
Inoltre, l’allevamento di polpi non è neutro dal punto di vista ecologico. Per produrre un chilo di polpo d’allevamento, servono fino a tre chili di pesce selvatico, aggravando lo sfruttamento delle riserve naturali. In pratica, si scarica la pressione su altre specie già minacciate, senza risolvere il problema alla radice. Il rischio è quello di sostituire una crisi con un’altra, spostando il danno senza ridurlo.
La mossa della Tunisia assume quindi un valore strategico: costringe il dibattito internazionale a confrontarsi con i limiti biologici degli oceani. Non è solo una questione di numeri o produzione, ma di etica e responsabilità intergenerazionale. Il polpo diventa il simbolo di un modello da superare, troppo orientato al profitto immediato, troppo distante dai ritmi naturali.
Ora tocca ad altri paesi del Mediterraneo decidere se seguire l’esempio tunisino. Il tempo per evitare il collasso di interi ecosistemi si sta esaurendo. E la scelta, ormai, non può più essere rinviata.