
Se fa troppo caldo hai diritto a restare a casa - ecoblog.it
In caso di temperature elevate, i lavoratori possono sospendere l’attività. La legge e la giurisprudenza proteggono chi opera in condizioni climatiche rischiose.
Le ondate di caldo estremo che attraversano l’Italia pongono interrogativi sempre più urgenti sul piano della tutela giuridica e della sicurezza lavorativa. Nei settori esposti – dall’edilizia alla logistica, passando per la panificazione – cresce il numero di richieste e segnalazioni da parte dei lavoratori. In molti casi, l’ambiente diventa insostenibile prima ancora che la colonnina di mercurio raggiunga i picchi assoluti. Ma cosa dice la legge in queste situazioni? E soprattutto, quando è legittimo interrompere il lavoro senza perdere la retribuzione?
Lavorare con il caldo: i rischi reali e i doveri delle aziende
Secondo i dati diffusi dal Ministero della Salute, temperature elevate e umidità intensa possono provocare collassi fisici, cali di concentrazione e un marcato aumento del rischio di infortuni. A essere più esposti sono i lavoratori all’aperto o in ambienti interni privi di ventilazione, come i forni o gli stabilimenti industriali. In molti casi, il problema non è solo la temperatura reale, ma il cosiddetto calore percepito, che può facilmente superare i 40 gradi in presenza di umidità.

La normativa vigente riconosce questi rischi. L’articolo 2087 del Codice Civile impone al datore di lavoro l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e psicologica del dipendente. Il principio è rafforzato dal Testo Unico sulla Sicurezza (D.Lgs. 81/2008), che prevede l’obbligo di valutazione dello stress termico tra i fattori di rischio aziendale.
In alcune regioni, come Lazio e Calabria, sono già operative ordinanze che vietano attività lavorative all’aperto durante le ore più calde, in particolare tra le 12:30 e le 16:00. Le imprese, a loro volta, possono attivare la Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria (CIGO) quando il lavoro viene impedito da condizioni meteo estreme. Con la causale “eventi meteo”, si può richiedere un’indennità economica che copre periodi fino a 13 settimane, estendibili fino a 24 mesi in caso di condizioni eccezionali.
Un chiarimento fondamentale arriva dall’INPS, con il messaggio n. 2729/2023, che apre alla possibilità di richiedere la CIGO anche con temperature percepite inferiori ai 35 gradi, nei casi in cui l’attività lavorativa – come asfaltature o rifacimenti di tetti – comporti un rischio elevato per la salute.
Il diritto di rifiutarsi di lavorare: la sentenza della Cassazione
Un elemento centrale nella discussione è rappresentato dalla sentenza n. 836/2016 della Corte di Cassazione, che ha sancito un principio molto chiaro: il lavoratore ha diritto a sospendere la prestazione se le condizioni ambientali violano le norme di sicurezza. In questi casi, non solo non può essere sanzionato, ma ha anche diritto alla retribuzione piena, poiché l’inadempimento ricade sul datore di lavoro.
Il punto chiave della sentenza è che la salvaguardia della salute non richiede necessariamente una disposizione formale da parte dell’azienda o delle autorità. Se il luogo di lavoro è oggettivamente pericoloso per il caldo e non rispetta le misure previste, il dipendente può rifiutarsi di lavorare. La Corte ha così riconosciuto che i mutamenti climatici devono riflettersi in una maggiore responsabilità gestionale da parte delle imprese.
Anche senza norme nazionali specifiche sul limite massimo di temperatura per lavorare, il quadro normativo offre strumenti concreti di tutela, a partire dai documenti di valutazione dei rischi, fino alla possibilità di sospendere l’attività per motivi di sicurezza. In questi casi, il responsabile della prevenzione può proporre l’interruzione e il datore è tenuto a garantire il compenso, purché la causa non sia riconducibile a negligenza interna.
Questa evoluzione del diritto del lavoro italiano rispecchia una realtà ormai evidente: il clima sta cambiando e con esso devono cambiare anche le modalità di tutela dei lavoratori. Le imprese che non si adeguano rischiano non solo sanzioni, ma anche danni economici e reputazionali. In un Paese dove sempre più estati superano i 40 gradi, garantire condizioni di lavoro sicure non è più un’opzione, ma un obbligo.