
Non è solo emergenza ambientale: la crisi climatica è la più grande ingiustizia sociale del nostro tempo -ecoblog.it
L’emergenza climatica si configura sempre più come una questione di giustizia sociale, oltre che ambientale.
Le recenti alluvioni e li eventi meteorologici estremi non sono solo campanelli d’allarme ecologici, ma rivelano una profonda disuguaglianza sociale. Un’indagine condotta in collaborazione con ActionAid mette in luce chi sono i soggetti più colpiti e quali sono le strategie necessarie per una transizione ecologica inclusiva.
La crisi climatica avanza a ritmi serrati, mentre il cambiamento culturale e istituzionale procede lentamente. Serve coraggio e volontà politica per adottare misure radicali e innovative che possano garantire una transizione ecologica giusta, capace di non lasciare indietro le fasce più vulnerabili della popolazione.
Le molteplici dimensioni dell’ingiustizia climatica
L’ingiustizia climatica non è solo uno slogan, ma un fenomeno che si manifesta in tre forme interconnesse, come evidenziato nel report di ActionAid “Coinvolgimento delle comunità in condizioni di fragilità e marginalità nelle politiche di adattamento al cambiamento climatico”.

L’ingiustizia distributiva si manifesta attraverso una distribuzione iniqua di costi e benefici legati alle politiche ambientali. Per esempio, gli incentivi per l’efficientamento energetico spesso favoriscono le famiglie con reddito medio-alto, escludendo chi vive in condizioni di povertà energetica. Dopo le alluvioni in Romagna, molti affittuari non hanno potuto accedere ai primi risarcimenti, mentre gli agricoltori dell’Appennino sono stati ignorati perché le mappe dei danni consideravano solo le aree allagate.
L’ingiustizia procedurale riguarda invece la mancanza di partecipazione reale delle comunità più vulnerabili nei processi decisionali. Spesso, come sottolinea Claudia Mazzanti, referente del Progetto Inclusion for a fair transition, le istituzioni italiane vedono la partecipazione come un ostacolo da superare e non come un valore aggiunto. I tavoli di co-progettazione sono spesso meramente formali, escludendo di fatto le voci di chi vive quotidianamente gli effetti della crisi climatica.
L’ingiustizia del mancato riconoscimento nega valore e legittimità alle esperienze e conoscenze delle comunità fragili, trattandole in modo assistenziale e passivo, anziché riconoscerle come portatrici di saperi essenziali per l’adattamento.
Le disuguaglianze climatiche hanno una precisa collocazione geografica e sociale. In Sicilia, la siccità cronica è aggravata da infrastrutture idriche trascurate da anni, penalizzando chi non può permettersi l’acquisto di acqua tramite autocisterne. In Lombardia, le alluvioni colpiscono soprattutto quartieri con alta presenza di persone vulnerabili, spesso impossibilitate a trasferirsi.
Il caso emblematico è l’Emilia-Romagna, dove le alluvioni del 2023 hanno evidenziato un paradosso doloroso: gli incentivi per la ricostruzione richiedevano anticipi economici non sostenibili per chi disponeva di risorse limitate. Questo meccanismo ha trasformato la ricostruzione da opportunità in ulteriore fonte di disuguaglianza, lasciando indietro chi è già in condizioni di vulnerabilità.
La risposta a queste ingiustizie non può che partire dalle comunità locali, riconoscendo il loro ruolo non solo come vittime, ma come portatrici di conoscenze fondamentali. Come afferma Claudia Mazzanti, “esistono saperi che devono essere integrati nel ciclo di policy making”, perché solo così si possono progettare soluzioni efficaci e condivise.