
Bevande e microplastiche: perché le bottiglie in vetro sono le più contaminate - ecoblog.it
Una ricerca dell’ANSES e dell’Université du Littoral Côte d’Opale rivela che le bottiglie in vetro contengono più microplastiche di quelle in plastica, a causa dei tappi che rilasciano frammenti nel liquido.
Le microplastiche sono ormai ovunque: nei mari, nell’aria, nel cibo e perfino nelle bevande. Negli ultimi anni, diversi studi hanno confermato la presenza di queste minuscole particelle in acque minerali, bibite, birre e vini, dimostrando che l’esposizione umana è continua e diffusa. L’ultimo allarme arriva dalla Francia, dove un gruppo di ricercatori dell’ANSES e dell’Université du Littoral Côte d’Opale ha pubblicato uno studio che ha analizzato la contaminazione da microplastiche in decine di bevande commerciali.
I risultati, pubblicati sul Journal of Food Composition and Analysis, hanno rivelato un dato sorprendente: le bottiglie in vetro presentano livelli più alti di microplastiche rispetto a quelle in plastica, lattina o brick. Il principale responsabile, spiegano gli autori, sono i tappi.
Bottiglie in vetro, le più contaminate per colpa dei tappi
Lo studio, intitolato Microplastic contaminations in a set of beverages sold in France, ha analizzato acque minerali, bibite, tè, birre e vini, confrontando i diversi tipi di contenitore: vetro, plastica, brick, lattina e cubitainer. Ogni marca è stata testata su sei campioni dello stesso lotto per escludere contaminazioni esterne. I ricercatori hanno trovato microplastiche in tutte le bevande analizzate, con concentrazioni variabili ma costanti.
Le acque minerali hanno registrato una media di 2,9 particelle per litro, ma con differenze significative tra tipologie: 3,7 MP/L nelle acque minerali e 1,6 MP/L nelle acque di sorgente. Le bibite aromatizzate al limone hanno toccato 8,6 MP/L, i tè 28,5 MP/L, le cole 31,4 MP/L e le birre addirittura 82,9 MP/L. I vini, infine, hanno mostrato 8,2 MP/L.

Il confronto tra contenitori ha riservato la scoperta più inattesa: le bottiglie in vetro hanno rivelato i livelli più elevati di contaminazione. Nelle acque minerali in vetro, la media era di 4,5 MP/L contro 1,6 nelle bottiglie di plastica. Le cole in vetro hanno raggiunto 103,4 particelle per litro, mentre quelle in lattina si sono fermate a 3,4 e quelle in plastica a 2,1. Anche nel caso delle birre, le bottiglie di vetro mostravano i valori più alti di tutte.
Secondo i ricercatori, la causa è da cercare nei tappi metallici verniciati con rivestimenti plastici. Le analisi hanno mostrato che la composizione delle microplastiche trovate nelle bevande corrispondeva al colore e alla composizione chimica dei tappi. Durante la chiusura delle bottiglie, l’attrito e la pressione del processo di tappatura rilasciano frammenti microscopici nel liquido.
Un esperimento parallelo con tappi nuovi ha confermato che anche senza contaminazioni esterne, la semplice azione meccanica della chiusura è sufficiente a generare microplastiche. È stato inoltre osservato che i polimeri più comuni rilevati erano poliestere, poliammidi, polistirene e PVC, con una predominanza del cluster dei poliesteri proprio nelle bevande in vetro.
Gli effetti delle microplastiche sulla salute umana
Se la scoperta sui tappi di vetro ribalta un pregiudizio diffuso — quello della presunta “purezza” del vetro —, resta il problema principale: le microplastiche sono ormai parte della catena alimentare. Una review del 2023 coordinata da Philip J. Landrigan e pubblicata su Annals of Global Health ha riassunto decine di studi che collegano l’esposizione a micro e nanoplastiche con effetti endocrini, riproduttivi, neurologici e metabolici. Le particelle, infatti, possono agire come vettori di additivi chimici e patogeni, attraversare le barriere cellulari e accumularsi nei tessuti.
I rischi sono particolarmente alti per feti e bambini, più vulnerabili all’azione degli interferenti endocrini. Landrigan ha anche stimato i costi sanitari globali derivanti dalla produzione e dall’uso della plastica: nel 2015 i danni alla salute hanno superato i 250 miliardi di dollari. Negli Stati Uniti, un altro studio pubblicato sul Journal of the Endocrine Society ha calcolato che nel 2018 i costi sanitari legati alle sostanze chimiche plastiche hanno raggiunto 249 miliardi di dollari, pari all’1,22% del PIL.
La ricerca francese non si limita a descrivere il fenomeno, ma invita a riflettere sul ruolo del packaging nel rilascio di microplastiche. Togliere i tappi o lavarli non è sufficiente: la contaminazione avviene già durante la fase di imbottigliamento e chiusura.
Gli autori propongono una soluzione netta: ridurre la produzione di plastica e promuovere il riutilizzo dei contenitori. Oggi nel mondo si producono oltre 400 milioni di tonnellate di plastica ogni anno, e il packaging alimentare è il principale responsabile dell’inquinamento. Finché non verrà ridotta la dipendenza da materiali plastici, le microplastiche continueranno a infiltrarsi ovunque — anche dove meno ce lo aspettiamo: nelle bottiglie di vetro.