Pensioni, novità in vista: ora per lasciare il lavoro bastano 15 anni di contributi - ecoblog.it
Nel 2025 andare in pensione con 15 anni di contributi è possibile solo in casi precisi. Ma l’importo dell’assegno può essere molto più basso delle aspettative.
Nel sistema previdenziale italiano, il numero di anni di contributi resta una delle condizioni centrali per accedere a qualsiasi forma di pensione. La soglia classica è di 20 anni, ma esistono meccanismi eccezionali per chi ne ha soltanto 15. Il riferimento è alla cosiddetta pace contributiva, che permette il riscatto di anni mancanti nella carriera, a patto di accettare determinati costi e condizioni. La questione centrale però è un’altra: anche se si riesce a ottenere l’uscita anticipata dal lavoro, quale sarà l’importo reale dell’assegno mensile?
In pensione con 15 anni: chi può farlo davvero e a quali condizioni
L’uscita dal lavoro con solo 15 anni di contributi non è una possibilità estesa a tutti. Esistono norme rigide, valide solo per determinati profili lavorativi. La via principale è quella della pensione di vecchiaia contributiva, disponibile dai 71 anni per chi rientra tra i contributivi puri, cioè lavoratori la cui contribuzione è iniziata dal 1996 in poi, senza anzianità retributiva precedente.

C’è poi la possibilità di riscattare i periodi contributivi mancanti con lo strumento della pace contributiva, attivo dal 2019 e prorogato anche per il 2025. Questo strumento permette di recuperare fino a 5 anni di vuoti contributivi, coprendo così il requisito minimo dei 20 anni necessari per la pensione di vecchiaia ordinaria. Ma non si tratta di una misura gratuita: bisogna pagare di tasca propria gli anni riscattati, secondo parametri stabiliti in base al reddito. Il costo può arrivare anche a 5.000 euro per ogni anno da riscattare, con possibili deduzioni fiscali.
Va ricordato che l’età minima per accedere alla pensione di vecchiaia resta fissata a 67 anni, ma servono 20 anni di contributi effettivi. Chi ha tra i 15 e i 19 anni di versamenti può usare la pace contributiva per coprire la differenza, oppure attendere i 71 anni per l’opzione contributiva, se ne ha diritto. In entrambi i casi, non esiste una garanzia di importo minimo, ed è qui che iniziano i veri limiti del sistema.
L’importo dell’assegno con 15 anni di contributi: cosa aspettarsi davvero
Per determinare l’importo dell’assegno previdenziale, l’INPS utilizza un calcolo basato sul cosiddetto montante contributivo: una somma virtuale che tiene conto di tutti i contributi versati nel corso della vita lavorativa. Questo montante viene poi moltiplicato per un coefficiente di trasformazione, variabile in base all’età del pensionamento. Più si è anziani, maggiore sarà il coefficiente, e quindi l’assegno.
Chi ha versato contributi per soli 15 anni e ha avuto una retribuzione media lorda annua di circa 25.000 euro, può aspettarsi un importo mensile compreso tra 500 e 600 euro lordi, a seconda dell’età in cui va in pensione. Valori ben al di sotto delle soglie di sostenibilità, soprattutto in presenza di mutui, spese sanitarie o affitti.
Secondo quanto stabilito dalla normativa vigente, l’assegno previdenziale non può essere inferiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale (che nel 2025 ammonta a 538,69 euro): quindi almeno 808 euro lordi al mese. Ma questa soglia non è automatica: se l’importo calcolato risulta inferiore, non si ha diritto alla pensione anticipata, e si dovrà attendere l’età prevista dalla legge (71 anni per i contributivi puri) o trovare il modo di colmare i contributi mancanti.
Per esempio, un lavoratore con stipendio netto mensile di 1.600 euro e 15 anni di contributi, che opta per la pace contributiva per arrivare a 20 anni, potrebbe ritrovarsi con un assegno di circa 650-700 euro lordi, sempre che i coefficienti e i rendimenti annui dei contributi siano favorevoli. Per chi ha 40 anni di carriera e uno stipendio simile, l’assegno può superare i 1.200 euro, ma la distanza tra i due scenari è evidente.
Il rischio maggiore è che chi ha pochi contributi e redditi bassi finisca sotto la soglia minima, rendendo vano l’investimento nella pace contributiva. In casi simili, il diritto alla pensione si perde del tutto, a meno che non si rientri in categorie tutelate (invalidi civili, indigenti, beneficiari di assegno sociale).
In sintesi, il sistema attuale non premia chi ha una carriera lavorativa discontinua o bassa retribuzione. Andare in pensione con soli 15 anni di contributi è una possibilità rara e costosa, che spesso si traduce in un assegno poco più che simbolico. Chi intende percorrere questa strada deve valutare con attenzione le proiezioni dell’INPS e considerare anche l’assistenza di un patronato o di un consulente previdenziale.
