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Cronaca ambientale

Terra dei Fuochi: fusti tossici e discariche delle ecomafie a Casal di Principe, tutti sapevano?

Rosaria Capacchione, oggi senatrice Pd è memoria storica e giornalistica della Terra dei Fuochi e sopratutto della storia del clan dei Casalesi, oggi ricorda che la più grande discarica di rifiuti tossici giace ancora inviolata

Dopo la (ri) scoperta dei fusti in via Sondrio a Casal di Principe di qualche giorno fa, mi chiedevo quando Rosaria Capacchione avrebbe fatto sentire la sua voce in merito. Sapevo che era solo questione di ore, perché la cronista e giornalista, anche se oggi è senatrice del Pd, non poteva resistere alle pressioni della sua memoria. Sono storie, quelle che lei racconta piene di nomi, affari e fatti che neanche google conosce, perché quando si sono svolti google non esisteva e sono stati raccontati nelle aule dei tribunali.

Solo chi li ha seguite, le può conoscere le storie delle ecomafie, come Alessandro Iacuelli che nel 2007 scrisse Le vie infinite dei rifiuti (con licenza creative commons e che potete scaricare) di come si scoprì il traffico illecito di rifiuti organizzato dalle ecomafie a partire dalla storia di Mario Tamburrino, autotrasportatore italo argentino che nella notte del 4 febbraio del 1991 si presenta al pronto soccorso del Cardarelli con ustioni agli occhi e alle braccia e difficoltà respiratorie. Tamburrino trasportava sul suo camion i fusti caricati a Cuneo da una ditta che si occupava di smaltimento rifiuti. L’accordo era semplice: i fusti invece che essere trattati come protocollo sarebbero stati caricati sul camion di Tamburrino e scaricati in aperta campagna al Sud, ovvero a Santa Anastasia (a un tiro di schioppo dal santuario della Madonna dell’Arco), un paesino ai pedi del Vesuvio, ma che forse per errore o cambio di destinazione scaricò tra Giugliano, Qualiano e Villaricca. Qualcosa andò di traverso e da uno dei fusti schizzo un liquido corrosivo che colpì al volto e alle braccia Tamburrino, costringendolo a presentarsi al pronto soccorso.

Rosaria Capacchione pure ripercorre questa storia che fu anche raccontata dalle telecamere di Mixer. Da allora altri ritrovamenti nelle cave di sabbia o in terreni o in laghetti. A scoperchiare però l’affare del traffico dei rifiuti tossici fu Nunzio Perrella fratello di Mario Perrella boss al rione Traiano e rivelò quando decise di collaborare con la giustizia nel 1992 del traffico illecito di rifiuti. Dovette faticare non poco a convincere i magistrati che il nuovo business della camorra era proprio la monnezza. Non senza, ovviamente, le complicità di chi in quelle terre ci abitava. Ma come mai la camorra passò da traffico di droga al traffico di rifiuti? Perché i proventi erano più elevati che nel traffico di droga e le pene praticamente inesistenti.

Scrive Rosaria Capacchione:

Venticinque anni di cronaca e di storia maledetta, una lunghissima teoria di ricordi che testimoniano l’indifferenza dello Stato e il silenzio di quanti hanno visto, talvolta hanno subìto, molto più spesso hanno condiviso i lautissimi guadagni del traffico di rifiuti. Perché la verità scomoda che nessuno dice è che molti, se ancora vivi, sanno dove sono nascosti i fusti dei veleni perché hanno messo anche i propri terreni a disposizione incassando fino a cinque milioni di lire per ogni carico e costruendo su quelle scorie le case per se stessi e i propri figli. Anche questo dovrebbero sapere coloro che oggi urlano e insultano, rivendicando una ben misera primogenitura della denuncia e che allora lasciarono soli quanti si affannavano, nell’indifferenza generale, a segnalare il pericolo, le infiltrazioni mafiose nell’affare, i primi picchi sospetti di malattie linfatiche e tumorali.

Poi è seguita la trattativa Stato- camorra per la gestione dei rifiuti in Campania, per cui sono pdepositate due interrogazioni parlamentari dal 2010, a oggi ancora senza risposta.

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