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Cronaca ambientale

Sciopero dei lavoratori tessili in Bangladesh, Dacca paralizzata dalle proteste

Dacca la capitale del Bangladesh è paralizzata da tre giorni per lo sciopero dei lavoratori delle fabbriche tessili


Oltre 200 mila lavoratori a Dacca in Bangladesh protestano da almeno 3 giorni contro le condizioni di lavoro a cui sono obbligati a sottostare. Le proteste di questi giorni hanno decretato la chiusura temporanea di 300 fabbriche di abbigliamento. In sostanza gli operai tessili chiedono che il loro stipendio salga a 8 mila taka, ossia 72 euro mensili contro l’offerta dei proprietari delle fabbriche che hanno proposto un aumento a 3 mila taka mensili pari a 28 euro.

Ha detto Mustafizur Rahman vice premier del Bangladesh che ha spiegato che durante le proteste ci sono stati feriti dopo le cariche della polizia messe in atto per disperdere i manifestanti:

La situazione è estremamente volatile. La polizia ha sparato proiettili di gomma e gas lacrimogeni per disperdere i lavoratori indisciplinati.

Proteste a Dacca, i lavoratori tessili caricati dalla polizia

Proteste a Dacca, i lavoratori tessili caricati dalla polizia
Proteste a Dacca, i lavoratori tessili protestano per gli stipendi bassi
Proteste a Dacca, la carica della polizia sui manifestanti
Proteste a Dacca, i lavoratori tessili caricati dalla polizia

Con più di 4.000 fabbriche che sfruttano il lavoro di di 3,5 milioni di persone – la maggior parte dei quali sono donne – il Bangladesh è diventato il secondo più grande esportatore di abbigliamento al mondo dopo la Cina, con le spedizioni di abbigliamento che rappresentano l’80 per cento del sui 27 miliardi dollari (20 miliardi di euro) in esportazioni annuali. Le proteste per i salari bassi e per le condizioni di lavoro disumane sono divenute più intense dopo l’incendio devastante del Rana Plaza dello scorso 24 aprile quando persero la vita più di 1000 lavoratori.

In Bangladesh i lavoratori tessili attendono un risarcimento

Proteste a Dacca, i lavoratori tessili caricati dalla polizia

Dal momento che il crollo di un edificio a Dhaka, che ha ucciso più di 1.000 lavoratori del settore tessile, le vittime e le loro famiglie attendono ancora di di essere risarciti. Le trattative non sono state concluse a Ginevra lo scorso 12 settembre a causa delle numerose assenze delle aziende coinvolte nelle morti degli operai del rana Plaza e della fabbrica di Tazereen distrutta da un incendio il 24 novembre 2012.

Ha detto Reaz-Bin-Mahmood, vice-presidente della Bangladesh Garment associazione di produttori e esportatori e che rappresenta 4.500 fabbriche:

I lavoratori hanno attaccato le nostre fabbriche e ne hanno incendiate almeno due e centinaia di fabbriche sono costrette a chiudere.

Abiti Puliti risponde a Piazza Italia

Proteste a Dacca, i lavoratori tessili caricati dalla polizia

Intanto prosegue il botta e risposta tra l’azienda di abbigliamento Piazza Italia e Abiti Puliti la Ong che si batte per il rispetto dei diritti dei lavoratori nel tessile. Ecoblog ha publicato la precisazione di Piazza Italia in merito alle notizie diffuse dalle Ong internazionali dell’assenza ai negoziati di Ginevra della firma italiana. Ma Abiti Puliti mi ha contattata via Facebook e ha rilasciato quanto segue:

Campagna Abiti Puliti
da quando è avvenuto l’incendio alla Tazreen lo scorso 24 novembre 2012, la Campagna Abiti Puliti ha contattato e fornito a @PiazzaItalia tutti gli elementi e le proposte concrete per esprimere una politica di responsabilità aziendale a fronte di un fatto gravissimo, che non è stato casuale.

Esso è il frutto di un sistema industriale a bassissimo costo, quello bengalese, di cui beneficiano tutte le imprese internazionali. Sia che si riforniscano direttamente, sia che lo facciano indirettamente, tramite agenti e intermediari, come ci ha dichiarato Piazza Italia nell’unico incontro dello scorso 14 maggio.

Come ribadito in più occasioni, e con comunicazioni accurate, sono state rese note le risposte di tutte le aziende che sono state contattate a seguito dell’incendio. Piazza Italia, di cui sono stati rinvenuti e fotografati prodotti a marchio (le foto sono in nostro possesso e sono state inviate all’azienda), è fra queste. Come correttamente specificato nelle nostre comunicazioni (http://www.abitipuliti.org/…), l’azienda ha negato di avere produzioni nonostante i campioni rinvenuti e, dopo avere per alcuni mesi dichiarato la sua disponibilità a partecipare al fondo di risarcimento, si è tirata indietro non partecipando agli incontri internazionali e proponendo una esigua somma a scopo umanitario destinata alla nostra campagna, che evidentemente non possiamo accettare. Quello che le vittime meritano e noi con forza chiediamo è un risarcimento equo, trasparente e negoziato con i sindacati, non un semplice gesto umanitario per lavarsi la coscienza.

Dal confronto avuto con Piazza Italia emerge, peraltro, una posizione contraddittoria secondo la quale da una parte Piazza Italia non conosce esattamente in quali stabilimenti vengono confezionati i suoi prodotti perché la scelta dei fornitori sarebbe in capo all’agente che opera senza informarli in merito e dall’altra afferma con certezza di non avere mai fatto confezionare capi alla Tazreen. Non si comprende quindi come faccia ad affermare da una parte che “firma accordi di produzione solo con aziende di Trading che garantiscono il rispetto di una serie di standard di sicurezza” e dall’altra che non è assolutamente coinvolta nel caso Tazreen.

Via | DW, Radio Vaticana

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