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Inquinamento

Cancro, il rischio aumenta se a contatto con gli interferenti endocrini

Gli interferenti endocrini oramai sono ovunque: sugli scontrini fiscali, sui giocattoli per bambini e finanche sui vestiti. Ci seguono ovunque anche nel cibo: dall’insalata al vino e sono responsabili dell’aumento del rischio di cancro

Gli interferenti endocrini sono dappertutto e si insinuano non solo negli oggetti più comuni, nel cibo e nelle bevande, nei giocattoli per bambini ma anche nella vita sessuale compromettendo sia la fertilità maschile sia femminile. Ultimo esempio di oggetto ritenuto pericoloso per la salute i braccialetti con elastici tanto di moda questa estate tra i ragazzini, con una presenza di ftalati (che troviamo nel PVC) superiore a 400-500 volte le dosi standard.

Ma cosa sono gli interferenti endocrini? Sostanze chimiche di sintesi estranee all’organismo umano presenti in moltissimi prodotti e oggetti di uso comune. Inutile pensare a un farmaco per eliminarli, si trovano anche nelle medicine. Il loro uso è cresciuto vertiginosamente nell’ultimo decennio e è legato all’industrializzazione di molti oggetti di uso contemporaneo: materie plastiche, farmacia, pesticidi agricoli ecc.

I loro nomi sono pressoché sconosciuti al grande pubblico e sono Bisfenolo A, parabeni, ftlati e altri tipi di molecole che interferiscono con il sistema ormonale umano mettendo a rischio le sue funzioni basilari.

Un anno fa André Cicolella, chimico e tossicologo, nonché presidente dell’associazione Réseau Environnement Santé (RES), ha pubblicato in Francia Toxique Planète Le scandale invisible des maladies chroniques dove analizza le sostanze chimiche di sintesi che causano:

Cancro al seno, cancro alla prostata, tumori ormono-dipendenti, diabete, obesità, malattie cardiovascolari, iperattività, problemi alla fertilità, abbassano la qualità degli spermatozoi e abbassano l’età della pubertà con conseguenze sanitarie su scala globale drammatiche.

I primi avvisi circa la pericolosità di queste sostanze, gli interferenti endocrini, furono lanciati nel 1991 da un collettivo di scienziati coordinati da Theo Colborn che coniò proprio il termine in occasione della conferenza a Wingspread. da allora gli studi scientifici si sono moltiplicati e le ONG hanno iniziato a interessarsi al problema fino, almeno in Francia alla Stratégie Nationale contre les Perturbateurs endocriniens voluta dalla Regione del Ile-de-Francetema consacrato come “grande cause régionale 2013”.

A contrastare il lavoro di informazione le lobby che di deroga in deroga hanno visto slittare il divieto della presenza del Bisfenolo A nei contenitori alimentari al primo gennaio 2015.

Restano gli evidenti ritardi europei nell’affrontare la questione consideraro che la strategia europea in merito risale al 1999 e che gli ultimi sviluppi scientifici sono contenuti nel rapport Kortenkamp pubblicato nel 2012. Nel maggio del 2013 un centinaio di scienziati hanno firmato la Déclaration de Berlaymont per richiedere un intervento politico, evento considerato da molti senza precedenti. Al palo anche tutto il lavoro che andrebbe fatto in Europa. La Svezia minaccia di attaccare la Commissione europea a causa della sua inadempienza rispetto alle norme non corrisposte sul biocidio (528/2012) e pesticidi (1107/2009) che includevano l’adozione di una definizione operativa entro la fine del 2013.

La strategia delle lobby però si basa proprio sulla mancanza di definizione e regolamentazione di queste sostanze, perché l’inghippo si nasconde proprio qui. Siamo a una vera e propria battaglia che si consuma tra gli uffici della Comunità europea a Bruxelles: da un lato la Direzione generale dell’Ambiente su cui incombe la responsabilità di fornire le definizioni e dall’altro le industrie e le imprese che cercano di rallentare il processo.

Per capirci possiamo fare riferimento a quanto avvenne negli anni ’50 con l’industria del tabacco quando si iniziava a discutere del nesso tra fumo di sigaretta e insorgenza del cancro al polmone.

Oggi siamo a un livello di urgenza imponente ed è necessario che l’Europa intervenga. Polimerica divide i ftalati in buoni e cattivi (semplificando naturalmente un po’) ma ciò che interessa al consumatore è: gli oggetti in PVC sono sicuri per la nostra salute e come fare per distinguere gli ftalati buoni da quelli cattivi? E’ ovvio che serve una rete di informazione prima e di intervento legislativo poi a generare appunto non solo informazioni sicure ma anche regole certe e più stringenti per tutti.

Via | Reporterre

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