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Energia

Blocca lo Sblocca Italia, la campagna ambientalista contro il decreto

Le associazioni ambientaliste si ritroveranno a Roma, in piazza Montecitorio, per protestare contro un decreto che rischia di essere tombale per la green economy nel nostro Paese

Sono ormai decine le associazioni ambientaliste e di tutela del paesaggio che hanno aderito alla campagna Blocca lo Sblocca Italia e che parteciperanno ai due presidi in programma per mercoledì 15 e giovedì 16 ottobre davanti al Parlamento

Cuore della protesta è il Decreto Sblocca Italia varato il mese scorso dal Governo Renzi che nella propaganda viene “venduto” come attento alla green economy e alla conversione verso un’economia basata sulle fonti rinnovabili, anche se nel testo si legge tutt’altro. Ad esempio che la Strategia energetica nazionale prevede di raddoppiare, entro la scadenza del 2020, l’estrazione di idrocarburi, fino a 24 milioni di barili equivalente all’anno. Per farlo si ipotizzano “investimenti per 15 miliardi di euro, 25mila nuovi posti di lavoro e un risparmio sulla fattura energetica nazionale di 5 miliardi all’anno”. Il risparmio si rifletterà sulle bollette? Lecito dubitarne. E se anche così fosse è giusto barattare qualsiasi risparmio economico con la devastazione del paesaggio, ovverosia dell’unico bene non delocalizzabile su cui si potrebbe veramente far ripartire la nostra economia?

Via “lacci e lacciuoli” per rilanciare l’attività petrolifera nei Golfi di Napoli e di Salerno, al largo di Capri, Sorrento, Amalfi e della costiera amalfitana, luoghi che tutto il mondo ci invidia pronti a essere saccheggiati in nome dell’autonomia energetica.

Si pensa, come sempre, a breve termine, seguendo anacronistiche logiche concentrazionarie, dove lo sfruttamento di risorse non rinnovabili resta nelle mani di pochi, invece di essere distribuito sul territorio. Renzi come Obama, dunque, che promise agli Stati Uniti l’ingresso nella green economy e, invece, ha favorito il fracking , ha “flirtato” e sta “flirtando” con chi estrae le sabbie bituminose nell’Alberta, ha tenuto un profilo basso con i responsabili della Marea Nera nel Golfo del Messico.

Nel Decreto la gestione dei rifiuti viene affidata agli inceneritori e non all’economia del riciclo e del riutilizzo, nonostante in alcuni comuni italiani siano state raggiunte percentuali di raccolta differenziata del 70-80%.

E dopo l’energia e i rifiuti, non può mancare il cemento, il pilastro degli ultimi sei decenni di economia nazionale:

Le grandi opere con il loro insano e corrotto “ciclo del cemento” continuano ad essere il mantra per questo tipo di “sviluppo” mentre interi territori aspettano da anni il risanamento ambientale. Chi ha inquinato deve pagare. Servono però bonifiche reali, non affidate agli stessi inquinatori e realizzate con metodi ancora più inquinanti; l’esatto opposto delle recenti norme con cui si cerca di mettere la polvere tossica sotto al tappeto. Addirittura il “sistema Mose” diventa la regola, con commissari e “general contractor” che gestiranno grandi aree urbane in tutto il Paese, partendo da Bagnoli,

spiegano i due promotori dei sit in dei prossimi giorni che sottolineano come il Decreto anticipi le peggiori previsioni delle modifiche costituzionali “accentrando il potere in poche mani ed escludendo le comunità locali da qualsiasi forma di partecipazione alla gestione del loro territorio”.

Un colpo di spugna a un’economia basata sull’agricoltura, sul sistema agro-ambientale come economia diffusa, sul turismo consapevole, sulle rinnovabili e sulle filiere del riciclo e del riutilizzo.

L’appuntamento dei presidi romani è in piazza Montecitorio, mercoledì 15 e giovedì 16 ottobre dalle 10 alle 14.

Via | Salviamo il Paesaggio

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