Liberati Batteri divoratori nell’ambiente: è successo in Italia, cosa dobbiamo aspettarci

Liberati Batteri divoratori nell'ambiente - ecoblog.it
Nel sito minerario dismesso di Ingurtosu, in Sardegna, parte una sperimentazione ambientale con batteri autoctoni e piante locali per ridurre i metalli pesanti nel suolo. Il progetto è finanziato dal Pnrr.
A Ingurtosu, nell’ex distretto minerario del sud-ovest della Sardegna, prende forma un intervento di bonifica sperimentale fra i più innovativi d’Italia. L’obiettivo è ripristinare l’equilibrio di un’area fortemente contaminata da piombo, zinco e altri metalli pesanti, usando batteri locali e piante spontanee. Il sito, incluso nel Parco Geominerario storico e ambientale della Sardegna, è parte del progetto Return, finanziato con fondi del Pnrr. In questa zona dove il paesaggio è segnato da decenni di estrazione mineraria, l’ambiente cerca ora una seconda vita, affidata alla microbiologia e alla botanica.
Ingurtosu, tra archeologia mineraria e ferite ambientali ancora aperte
Sorto nel secondo Ottocento, Ingurtosu fu uno dei principali centri minerari europei per l’estrazione di piombo e zinco. Le miniere, prima gestite da società italiane e poi dalla Pertusola Ltd, davano lavoro a centinaia di famiglie. Attorno all’attività estrattiva nacque un vero villaggio operaio, con scuole, ospedale, ferrovie e la laveria di Naracauli, oggi riconvertita a testimonianza di archeologia industriale. Ma dopo il collasso produttivo del dopoguerra, le miniere vennero abbandonate, lasciando scorie e terreni contaminati.
Oggi l’area ospita una ricerca scientifica coordinata da ENEA e Università di Cagliari, con lo scopo di testare tecniche naturali di risanamento. Il progetto fa parte dello spoke 4 del programma nazionale Return, dedicato al contrasto del degrado ambientale. La sfida è rigenerare il suolo senza interventi invasivi, sfruttando organismi già presenti nell’ambiente, capaci di resistere ai metalli e aiutare la vegetazione a ricolonizzare l’area.
Batteri del suolo e elicriso sardo: come funziona la bonifica naturale
Cuore della sperimentazione è la bioaugmentation, una strategia che prevede l’introduzione mirata di microrganismi isolati direttamente dai terreni contaminati. A Ingurtosu sono stati selezionati 11 ceppi batterici, adattati alle alte concentrazioni di metalli, in grado di immobilizzare piombo e zinco rendendoli meno pericolosi. Non li eliminano, ma ne riducono la mobilità, limitandone la diffusione e favorendo la crescita delle piante.

Uno degli elementi chiave è la cooperazione tra batteri e piante autoctone. Tra queste, l’elicriso – pianta tipica della macchia mediterranea – si è dimostrato particolarmente efficace: resiste ai suoli difficili, favorisce la biodiversità e contribuisce a stabilizzare il terreno. I primi dati indicano una riduzione significativa dei contaminanti e una rinascita spontanea della vegetazione, segno che il suolo inizia a riattivarsi.
Il progetto Return, finanziato nell’ambito della Missione 4 del Pnrr, si estende a livello nazionale con 26 partner tra enti, università e imprese. Il budget complessivo supera i 120 milioni di euro, e include anche bandi a cascata per startup e soggetti esterni interessati a sviluppare soluzioni nel campo della resilienza ambientale.
Quello di Ingurtosu non è solo un cantiere sperimentale, ma un modello replicabile per affrontare contaminazioni simili in altre ex aree industriali italiane. Un esempio di come scienza e natura possano collaborare, trasformando una zona ferita in un laboratorio di rigenerazione sostenibile.