
Dove finisce davvero l’olio di frittura e come riciclarlo - ecoblog.it
Un gesto quotidiano può trasformarsi in un problema ambientale: ecco cosa succede se l’olio esausto finisce nello scarico e quali sono i modi per ridargli nuova vita.
La gestione dell’olio esausto rappresenta un nodo delicato per famiglie e amministrazioni. Si tratta di un prodotto molto diffuso, derivato principalmente dalla frittura, che in apparenza può sembrare innocuo. Eppure, gettarlo nel lavandino o nel water significa compromettere la rete idrica, danneggiare i depuratori e contaminare il terreno. Non è un rifiuto organico, non si degrada naturalmente e può arrivare a inquinare fino a 1.000 metri quadrati d’acqua con un solo chilo. Le alternative ci sono, alcune istituzionali, altre legate a un approccio domestico più creativo.
Perché l’olio esausto è un rifiuto pericoloso
Chi cucina spesso lo sa bene: dopo aver fritto, la quantità di olio avanzato è notevole. Molti, non sapendo come smaltirlo, scelgono la via più semplice e dannosa, scaricandolo nello scarico domestico. Una scelta che, oltre a intasare tubature e fognature, genera un costo enorme per i sistemi di depurazione. Gli esperti stimano che la depurazione dell’acqua contaminata dall’olio esausto costi circa un euro al chilo, un prezzo che pesa sulla collettività. Non a caso, i consorzi nazionali hanno da tempo avviato campagne di sensibilizzazione. Il Conou e il Conoe operano per raccogliere e trattare rispettivamente oli minerali e vegetali, e nel caso dell’olio da cucina il riciclo apre scenari economici interessanti. Si parla di un valore che può oscillare tra i 180 e i 400 euro a tonnellata. Questo dato spiega perché, oltre alla tutela ambientale, l’olio esausto sia diventato un vero business.

C’è però un punto spesso ignorato: l’olio non è solo da smaltire, ma anche da riusare. Con piccoli accorgimenti domestici si può trasformare in risorsa. Raffreddato e filtrato con cura, può diventare combustibile per lanterne o candele artigianali, ingrediente per saponi casalinghi o addirittura un lubrificante naturale per piccoli lavori domestici. Alcune famiglie lo utilizzano persino per facilitare la rimozione della neve dalle pale invernali, riducendo l’attrito e velocizzando il lavoro.
Le alternative sostenibili e i punti di raccolta
Il riciclo non si limita alle soluzioni fai da te. In molte città italiane, supermercati e distributori di carburante dispongono di contenitori dedicati alla raccolta dell’olio esausto. Qui il liquido viene avviato a un percorso industriale che lo trasforma in biodiesel, glicerina o lubrificanti. Nel settore dei trasporti, esempi concreti mostrano l’impatto positivo di questa filiera. Il volo intercontinentale operato da KLM tra New York e Amsterdam con un Boeing 777-200 ha dimostrato che il biocarburante derivato dall’olio da cucina esausto riduce le emissioni di CO2 del 20%.
In Italia, alcune amministrazioni comunali hanno introdotto anche il servizio di ritiro a domicilio, una pratica che evita ai cittadini la fatica di recarsi alle isole ecologiche. Un passo che incoraggia la partecipazione e riduce le quantità disperse impropriamente nell’ambiente. Il potenziale di questa economia circolare è alto. Trasformare un rifiuto pericoloso in energia pulita o in un nuovo prodotto significa ridurre l’inquinamento e limitare lo spreco di risorse. E non è un dettaglio: si calcola che ogni litro d’olio recuperato corrisponda a un risparmio di 2,5 kg di CO2 emessa nell’atmosfera. Un numero che, su larga scala, può fare davvero la differenza.