
Young Maasai warriors or "Morans" celebrate by dancing as they arrive at Mount Suswa in Kenya on December 20, 2012. Mount Suswa is a sacred place for the Maasai tribe and every 10 years Maasai from all over Kenya gather to witness the coming of age ceremony for the Morans known as an "Age Set". The 'age set' sees Morans achieving the status of manhood in their communities' eyes. Before this coming of age ceremony Morans must traditionally be circumcised and spend up to 4 years in the wilderness with a group of around 10 or less to fend for themselves and put into practice hunting techniques and life skills passed on by their elders. AFP PHOTO / Carl de Souza (Photo credit should read CARL DE SOUZA/AFP/Getty Images)
Il Governo della Tanzania è accusato da 40mila pastori Masai di non avere mantenuto la promessa di non “svendere” la propria terra per la realizzazione di una riserva di caccia della famiglia reale del Dubai.
L’ultima follia dei petrodollari arriva dall’Africa profonda, da un “corridoio della fauna selvatica” di 1500 kmq in cui vivono i Masai e in cui, appunto, una società commerciale di caccia e safari con sede negli Emirati Arabi vorrebbe realizzare una sorta di parco di divertimenti riservato ai reali ultramiliardari del Golfo Persico.
Domani alcuni rappresentanti del popolo Masai incontreranno il primo ministro Mizengo Pinda, per esprimere la loro rabbia per un’iniziativa che, entro la fine dell’anno, potrebbe derubarli della loro terra. In ballo c’è un’area fondamentale per il pascolo del bestiame che permette la sussistenza di 80mila persone.
Il Governo sta offrendo un risarcimento di 1 miliardo di scellini circa 462mila euro, cifra che i Masai hanno seccamente respinto, anche perché un anno fa il Governo tanzaniano aveva detto che non avrebbe permesso un simile “scippo”.
Samwel Nangiria, coordinatore dell’associazione locale Ngonett, ha dichiarato di sentirsi tradito e che “un miliardo è molto poco e non si può confrontare con quella terra” nella quale sono sepolte “le loro madri e le loro nonne”.
La terra, insomma, come un bene che non si può comprare, almeno nel sistema di valori dei Masai. Il Governo tanzaniano non la pensa allo stesso modo e dopo la messinscena dello scorso anno ha fatto dietrofront. A pagarne le conseguenze sono stati numerosi attivisti uccisi dalla polizia negli ultimi due anni. Lo stesso Nangiria ha subito numerose minacce di morte.
Lo scorso anno una campagna contro la riserva di caccia era stata condotta sul sito Avaaz.org con il titolo Stop the Serengeti Sell-off: 1,7 milioni le firme raccolte. Ora a un anno di distanza le promesse del Governo di Pinda sembrano essersi sbiadite e la moneta sonante del Golfo Persico sembra essere in grado di cacciare i Masai dalle loro terre.
Via | The Guardian