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Dopo Gibe III, la Diga della Rinascita in Etiopia sconvolgerà l’ecosistema dell’Africa Orientale

La Grand Ethiopian Renaissance Dam cambierà il ciclo di esondazioni del Nilo

Manca poco alla conclusione dei lavori della Diga Gilgel Gibe III, la controversa costruzione etiope nella valle del fiume Omo, che creerà un bacino di 210 km² allagando zone abitati da contadini e pastori. Ma l’attivismo del governo di Addis Abeba per sfruttare l’idroelettrico non si ferma qui: il prossimo passo è la Diga della Rinascita, la Grand Ethiopian Renaissance Dam, un progetto faraonico dai notevoli risvolti politici.

Se ne occupa anche la versione cartacea della Repubblica di oggi 21 giugno, con un lungo reportage di Daniele Mastrogiacomo dai luoghi interessati dalla costruzione, che è già stata ribattezzata “la diga della discordia”. La Diga della Rinascita fa parte del grande progetto che comprende anche Gibe III ed è in costruzione sul Nilo azzurro, a 500 km a nordovest di Addis Abeba, vicino al confine con il Sudan. Al termine dei lavori arà la diga più grande d’Africa: lunga 1800m, alta 170m e del volume complessivo di 10 milioni di m3, ma avrà effetti sconvolgenti per tutto l’ecosistema nordafricano, visto che cambierà notevolmente la portata del Nilo.

Per questo il governo etiope e quello del Cairo sono da mesi ai ferri corti, tanto da far dire al presidente egiziano Morsi che farà “qualunque cosa” per impedire che il progetto metta a repentaglio l’approvvigionamento idrico del suo paese. La diga infatti ridurrà drasticamente il livello dell’acqua del Nilo che arriva in Egitto, riversandole invece nel bacino artificiale. Questo modificherà quindi il ciclo delle esondazioni, e con esso l’ecosistema di chi vive in quell’habitat, dagli animali ai pastori e ai contadini.

Anche la costruzione della Diga della Rinascita, come quella di Gibe III, è stata appaltata alla ditta italiana Salini. La data di fine lavori è stata fissata per il 2016, e una volta completata sarà grande 3 volte la diga di Assuan (quella che richiese lo spostamento dei templi di Abu Simbel), dovrebbe garantire una produzione annuale di 65000 gigawatt di energia elettrica (una parte della quale sarebbe esportata dall’Etiopia ai paesi vicini) e il costo finale è di quasi 5 miliardi di dollari.

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