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Alimentazione

Carboncheck porta a SANA 2013 la tracciabilità degli alimenti bio (e non solo)

Il progetto, tutto italiano, consente di individuare l’origine delle materie prime di cui è formato un prodotto, aspetto particolarmente caro ai consumatori che scelgono prodotti naturali o biologici

“Fino a dieci anni fa nessuno avrebbe pensato di importare pomodoro dalla Cina per fare sugo, ma ora succede”. E’ questo il modo in cui questa mattina a Bologna, in occasione dell’ultima giornata di SANA 2013, Paolo Bartolomei, esperto dell’ENEA, ha introdotto il problema della tracciabilità degli alimenti in un mondo in cui gli scambi commerciali con Paesi terzi ha purtroppo creato nel consumatore il timore che ciò che giunge sulla sua tavola non corrisponda a quanto intendeva acquistare o consumare. Un problema, quello della contraffazione, che colpisce ancora di più chi, spinto dal desiderio di una maggiore attenzione nei confronti della propria alimentazione, sceglie di acquistare prodotti bio confidando nella loro maggiore sicurezza e salubrità.

Per far fronte al problema oggi chi si occupa di tracciabilità degli alimenti ha a disposizione uno strumento che analizza i prodotti fin nei suoi atomi. Si tratta di Carboncheck, un progetto di U-Series srl, Nano4bio srl, MASSA Spin-off srl e ISTA srl grazie al quale è stato messo a punto un sistema che consente, fra le altre applicazioni, di analizzare gli isotopi radioattivi per distinguere le componenti bio presenti in un prodotto.

Come ha spiegato Bartolomei, quelle sui cui si basa Carboncheck sono tecniche antiche ed affidabili che nel corso degli ultimi 10 anni hanno vissuto un’espansione nel settore della tracciabilità alimentare. Il fenomeno per cui l’isotopo radioattivo di un atomo decade con il passare del tempo è infatti sfruttato già a lungo per distinguere le componenti biologiche dai fossili. Oggi la sua applicazione può passare all’ambito della tracciabilità basandosi sul fatto che i rapporti tra gli isotopi di idrogeno, ossigeno, carbonio, azoto e zolfo sono tipici dell’area di provenienza della materia prima con cui l’alimento è stato prodotto.

Ciò permette di stabilire da dove viene un alimento, se è conforme alle aspettative, come è stato processato, offrendo uno strumento utile per confermare le informazioni ottenibili con gli strumenti di tracciabilità tradizionali.

Le applicazioni di Carboncheck nel settore del biologico non finiscono però qui. Nel corso dello stesso incontro Chiara Carducci, dottoranda direttamente coinvolta nel progetto presso i laboratori di U-Series, ha spiegato che dopo essersi formato nell’atmosfera per interazione con i raggi cosmici il carbonio radioattivo si distribuisce in tutti i comparti ambientali. Quando gli organismi muoiono ha inizio il suo decadimento, che cessa solo nei fossili. Ciò permette di distinguere il carbonio fossile (e quindi i derivati sintetici del petrolio e della petrolchimica) da quello biogenico, presente negli organismi viventi, una possibilità che trova applicazione sia nel mondo dei prodotti biobased, derivati completamente o in parte da materie prime biologiche, sia in quello dei biomateriali, come le bottiglie per l’acqua minerale prodotte per il 30% con materia prima di origine vegetale o i flaconi dei cosmetici utilizzati da aziende particolarmente devote al bio e alla naturalità.

Il progetto Carboncheck ha mirato anche a ridurre la tossicità e aumentare la semplicita della metodologia, che, però, vede ancora un margine di miglioramento, su cui gli esperti sono già all’opera.

Foto | @si.sol.

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