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Acqua

Vajont 1963-2013 «… il boato di un mare che piombava su Longarone»

«Sono figli della presunzione, perciò sviluppano e mettono in pratica una scienza che va contro natura… tu sai benissimo che cambiando l’andamento naturale delle cose prima o poi si paga»

Cinquant’anni dopo il disastro evitabile del Vajont del 9 ottobre 1963 , ricordiamo le quasi duemila vittime con le parole di Mauro Corona.

«Un giorno il monte Toc si svegliò di soprassalto perchè l’acqua della diga lo aveva spintonato malamente. Si accorse con stupore che era diventato un poì più piccolo. Era scivolato di qualche metro verso il basso. Allora preoccupato chiamò il Borgà, il monte amico suo che gli stà di fronte e gli disse:

“Senti, qui l’acqua mi sta togliendo i piedi e quella massa di presuntuosi tecnici, ingegneri e geologi non si accorgono di niente. Sono sicuro che sto per cadere in quel naledetto lago che hanno costruito e non so come avvertirli. Ho persino inclinato gli alberi verso terra in modo che si notino i miei movimenti, ma loro, ottusi come sono, non se ne rendono conto. Per favore, aiutami, mettili in allarme, visto che a me non danno retta.”

Il Borgà, che è molto più vecchio del Toc, e quindi più saggio, rispose con tristezza:

“Io non posso farci niente. Quella gente è insensibile e non capisce. Sono solo degli aridi tecnici che non sanno interpretare i nostri messaggi: quelli delle piante, dell’acqua, dei rumori. Sono figli della presunzione, perciò sviluppano e mettono in pratica una scienza che va contro natura… tu sai benissimo che cambiando l’andamento naturale delle cose prima o poi si paga.”

“Ma c’è la gente  là sotto, nei paesi, e se io salto giù di colpo enll’acqua, questa, che non mi può sopportare, s’arrabbia e allora scapperà in massa giù per la valle uccidendoli tutti” …

Verso sera scese il vento nella valle … alle ventidue e quarantacinque il Toc stremato s’arrese e precipitò nell’invaso. Una gobba immensa sollevò la luce della luna dlla superficie del lago e la scagliò verso il cielo.

Poi il bagliore si spense nel boato di un mare che piombava su Longarone. E in quel momento anche Erto, avviato a diventare una cittadina, sprofondò. E non rinacue mai più.»

Mauro Corona, Il volo della Martora, Torino 1997 pp 168-170

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