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Benetton ammette subforniture dalla fabbrica della morte in Bangladesh

Il CEO di Benetton ammette che l’azienda ha avuto una subfornitura dalla fabbrica della morte in Bangladesh. Dopo il più grave incidente sul lavoro del 21° secolo le multinazionali non possono più fare finta di niente e devono iniziare a rispettare i di ritti dell’uomo e dell’ambiente.

Questa foto non fa parte dell’ennesima campagna eccentica di Oliviero Toscani, ma è un’immagine di una manifestazione di protesta di attivisti del sindacato spagnolo UGT contro lo sfruttamento dei lavoratori tessili in Bangladesh. Tra gli altri marchi coinvolti (vedi gallery) anche Mango, C&A, El corte Ingles.

La protesta nasce dal più grave incidente sul lavoro del 21° secolo: il crollo del Rana Plaza in Bangladesh che ha causato la morte di oltre 1000 lavoratori (912 vittime e 149 dspersi alla data di oggi). Non dimentichiamo che lo scorso novembre oltre 100 lavoratori sono morti nell’incendio della fabbrica tessile Tazreen, sempre in Bangladesh.

Dopo aver inizialmente smentito di essere coinvolta in forniture dalla fabbrica della morte, ora Benetton fa marcia indietro. In un’intervista all’Huffington Post il CEO dell’azienda ammette che Benetton a dicembre 2012 ha avuto una subfornitura di 200 000 camicie dalla New Wave company, una delle cinque aziende ospitate nell’edificio crollato, tramite un altro fornitore indiano. La notizia è confermata anche dal Wall Street Journal.

Secondo il CEO la fornitura è stata poi interrotta perchè l’azienda non era in grado di fornire “standard di qualità ed efficienza”. E’ impresionante il livello di indifferenza e cinismo di questa affermazione. Per i grandi manager il problema è solo la qualità e l’efficienza; diritti e sicurezza del lavoro sono evidentemente degli optionals.

Si aggiungono le solite considerazioni per cui “non è pensabile abbandonare i fornitori in Bangladesh”, visto che il modo migliore di aiutare i paesi più poveri è “fornendo lavoro”.

E’ ora di porre termine a questa ipocrisia. Le multinazionali non possono più fare finta di non sapere che, se spingono in modo aggressivo per contratti al massimo ribasso, i fornitori e subfornitori locali possono soddisfare queste richieste solo con paghe basse, turni di lavoro massacranti, attività antisindacale,  nessuno standard di sicurezza o di protezione ambientale.

La ricerca del massimo profitto e del minor costo del lavoro ha ucciso il lavoro tessile in Italia e sta letteralmente uccidendo i lavoratori nei paesi più poveri. Forse è bene fermarsi, riflettere e cambiare strada, cominciando dal firmare la petizione on line che chiede alle multinazionali di rispettare gli standard di sicurezza.

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