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Ricetta per il pesce sostenibile: mangiarne di meno e da piccoli pescatori

Oggi nel mondo si pesca troppo e male e c’è il serio rischio di un collasso delle popolazioni marine. Mangiare il pesce in modo sostenibile significa consumarne di meno, privilegiando l’attività dei piccoli pescatori che non devastano i mari e gli oceani

La pesca è l’ultima attività che ancora ci lega ai cacciatori-raccoglitori del neolitico (visto che caccia e raccolta da lungo tempo hanno smesso di sfamarci).

Eppure anche questa è minacciata dalla nostra eccessiva golosità ed avidità: negli ultimi 60 anni la quantità pescata ogni anno è più che quintuplicata, dai 17 milioni di tonnellate degli anni ’50 ai 90-95 milioni di oggi (1). Mai gli oceani avevano subito un simile “esproprio” da parte di una specie terrestre. L’Europa in particolare contribuisce abbondantemente al saccheggio, visto che i suoi mari non le bastano più.

Da dieci anni tuttavia, la quantità di pescato non cresce più, segno che siamo assai prossimi al picco: a livello mondiale la quantità di pesce pro capite è inoltre diminuita dai 17,3 kg del 1988 ai 13,6 kg di oggi (2). Il suo contributo alla nostra dieta rimane comunque trascurabile, poichè, sempre a livello planetario, rappresenta meno del 4% dell’ apporto di proteine giornaliere.

I segnali del sovrasfruttamento ci sono tutti: non ci basta la catastrofe del merluzzo nel nord atlantico e la pericolosa diminuzione delle popolazioni di tonni e mackerel?

Da questi numeri si capisce che “mangiare più pesce” è un consiglio privo di senso.

Slowfood sta provando a parlare di pesce sostenibile, invitando a consumare specie attualmente poco catturate, lasciando nei mari le specie sovrasfruttate. Il rischio è ovviamente quello di iniziare a sovrasfruttare nuove specie, senza dare il tempo a quelle vecchie di riprendersi.

In maniera più sensata, Greenpeace invita invece a sostenere la pesca artigianale, che anche se pesca di meno dà lavoro all’80% dei pescatori (3). La pesca industriale è infatti una vera arma di distruzione di massa, con le reti a strascico che devastano il fondo marino come carri armati e raccolgono tutto quello che si trova in acqua. Secondo la FAO, le catture involontarie di pesce non commerciale ammontano ad almeno 27 milioni di tonnellate, quasi un terzo di ciò che viene scaricato nei porti.

Occorre quindi essere onesti: mangiare pesce sostenibile significa mangiarne di meno. Quanto meno? E’ difficile dirlo. Applicando un minimo di precauzione, direi che non sarebbe male tornare ai livelli degli anni ’60 quando si pescava la metà di oggi.

Dimezzare il nostro consumo di pesce “pescato” (4) non è poi un sacrificio così grave se si rinuncia agli squallidi prodotti industriali impanati e surgelati e ci si limita a consumare  pesce di qualità in occasioni speciali: un’esperienza gastronomica straordinaria ci può restare nella mente per lunghissimo tempo, più che un abbondante consumo incolore.

(1) Tutti i dati riportati in queto post hanno come fonte le Fisheries Statistical Collections della FAO.

(2) Non tutto questo pesce viene direttamente mangiato: un 20-30% viene anche usato per fare farine animali per allevamento.

(3) La vita dei piccoli pescatori è sempre più difficile inogni aprte del mondo e anche in Italia

(4) Esiste anche il pesce allevato, da acquacoltura, ma questa è un’altra storia e si dovrà raccontare un’altra volta

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