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Nel 2015 uccisi 185 ambientalisti

Pubblicato il rapporto On Dangerous Ground della ong Global Witness

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Sono 185 gli ambientalisti uccisi nel 2015. Un anno nero per i difensori dell’ambiente, tanto più se si pensa all’assunzione di responsabilità – quantomeno di facciata – delle nazioni che hanno siglato l’accordo della Cop21 di Parigi e all’enciclica papale Laudato Si’.

Proprio nell’anno in cui si è più parlato di ambiente e di cambiamenti climatici, il numero degli ambientalisti uccisi dalle ecomafie e dai poteri forti è aumentato a dismisura rispetto al passato recente: 185 morti.

L’escalation è evidente: nel 2013 le vittime furono 92 e nel 2014 116. In appena due anni la cifra è raddoppiata.

Per gli ambientalisti e per le popolazioni indigene che lottano per la salvaguardia del proprio territorio, delle foreste e dei corsi d’acqua il 2015 è stato un anno da incubo.

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Le cifre sono quelle del rapporto On Dangerous Ground stilato dall’ong Global Witness, specializzata nelle denunce di conflitti, corruzioni e violazioni dei diritti dell’uomo associati allo sfruttamento di risorse naturali.

Gli assassinii sono stati compiuti in 16 Paesi. A fare la parte del leone in questa poco onorevole classifica è il Brasile con 50 omicidi compiuti nel 2015. A seguire ci sono le Filippine (33 morti), la Colombia (26), il Peru e il Nicaragua (12), la Repubblica Democratica del Congo (11), il Guatemala (10) e l’Honduras (8), paese in cui è stata assassinata, all’interno della propria abitazione, nello scorso mese di marzo, l’attivista Berta Caceres.

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I numeri sono da brivido: un omicidio ogni due giorni.

Naturalmente i membri di Global Witness sottolineano come si tratti di cifre su casi documentati e verificati, ma il numero potrebbe essere molto più elevato.

Nella maggior parte dei casi gli omicidi avvengono in conflitti associati all’estrazione mineraria, al bracconaggio, alle attività agro-industriali, forestali e idroelettrica.

Gli autori di questi omicidi sono perlopiù miliziani di gruppi paramilitari (16 casi documentati), membri dell’esercito (13), della polizia (11) o di servizi di sicurezza privati (11).

Da una parte i difensori dei beni comuni, dall’altra quelli degli interessi privati. Le popolazioni indigene sono le più vulnerabili: il 40% delle vittime del 2015 apparteneva a comunità indigene.

Nell’Amazzonia brasiliana si stanno raggiungendo livelli di violenza senza precedenti.L’80% della legna proveniente dal Brasile è sfruttata illegalmente e alimenta un quarto dei tagli illegali fatti in tutto il mondo. Molte delle vittime brasiliane appartengono proprio a quelle comunità che si battono contro questo tipo di sfruttamento.

Via | Le Monde | Global Witness

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